Garanzie a debito per il Fondo verde per il clima

 

Leggi la proposta ODG al disegno di legge al bilancio 

Leggi la relazione

Leggi la norma

Disponiamo di una sola Terra, ma ci comportiamo come se ne avessimo a disposizione 1,6 vivendo al di sopra delle possibilità di rigenerazione delle risorse naturali, con importanti differenze tra le diverse aree territoriali del pianeta.

Nella Decisione presa a COP26 a Glasgow nel patto per il clima si legge che le attività umane hanno causato fino ad oggi per circa 1,1°C il riscaldamento globale e che gli impatti già si stanno  facendo sentire in ogni paese.

Le emissioni di anidride carbonica stanno provocando un innalzamento delle temperature che generano a loro volta una serie di effetti a cascata:

  • lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai montani
  • l’innalzamento del livello del mare
  • l’acidificazione degli oceani
  • la desertificazione dei terreni
  • la salinizzazione delle coste
  • la perdita di biodiversità marina e terrestre che riguarda sia la fauna che la flora.

Chi contribuisce a tutto ciò nel mondo sono i 208 paesi, di cui 195 sono quelli generalmente riconosciuti sovrani a livello internazionale, ne erano soltanto 65 nel 1900; sono aumentati a 76 nel 1921;  a 88 nel 1950; ne diventavano 166 nel 1980; nel 1991 salivano a 190. Far convergere tutti questi paesi ad una linea politica comune in difesa del clima, e della stessa sopravvivenza dell’uomo sul pianete Terra, è una sfida enorme che spesso viene limitata dalla instabilità di alcuni paesi talvolta opportunamente provocata per interessi politici, economici e sociali di pochi.

Ma già con la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, entrata in vigore il 21 marzo 1994, si era deciso, 27 anni fa, di “raggiungere la stabilizzazione (entro il 2000 delle emissioni di C02) delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico“, quindi già nello scorso anno avremmo dovuto ottenere i primi risultati.

Ma purtroppo il pianeta continua a scaldarsi e seppur la risposta dei “Sapiens” non poteva che essere globale, nel settembre del 2015, più di 150 leader internazionali, hanno approvato, in seno alle Nazioni Unite, l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile per contribuire allo sviluppo globale, promuovere il benessere umano e proteggere l’ambiente.

Anche le Nazioni Unite organizzano ormai da anni le Conferenze tra le parti in causa– Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNCCC) o anche Conferenza ONU sul cambiamento climatico (COP) dove si tenta di prendere impegni vincolanti tra le parti firmatarie della convenzione, nel quadro del Protocollo di Kyoto (conferenze CMP) e dell’Accordo di Parigi (conferenze CMA). Ma tante conferenze con quali risultati?

Il Bla bla bla dell’attivista per il clima Greta Thunberg alla Cop26 ne è una risposta esauriente, infatti oggi, seppur è stato raggiunto un accordo sul carbone, l’intesa è insoddisfacente. E il pianeta Terra non ci darà altro tempo.

Con la “decisione presa durante la COP15 di Copenaghen del 2009, e sempre puntualmente disattesa, stabiliva impegni finanziari 100 miliardi di dollari da mobilitare ogni anno da parte dei principali Paesi industrializzati – e tra essi l’Italia – da raggiungere entro il 2020, verso iniziative di finanza per il clima, a favore di Paesi in via di sviluppo, in un contesto di azioni di mitigazione significative e di trasparenza nell’implementazione, e rendere pienamente operativo il prima possibile il Fondo Verde per il Clima attraverso la sua capitalizzazione. Dai 58,5 mld del 2016 siamo passati ai 71 del 2017, ai 78,3 mld del 2018. Fino ad arrivare ai 79,6 mld di dollari nel 2019. Al momento siamo a circa 80 mld l’anno, anche se USA e UE hanno promesso di aprire il portafoglio: Washington raddoppia la sua parte fino a 11,4 mld, Bruxelles – il donatore più generoso – passa da 25 a 29 mld”

L’Italia ha dato un contributo di 400 milioni per i paesi sottosviluppati attraverso vari canali”.

E’ proprio dalla COP21 (Conferenza di Parigi sul clima del 2015, cui hanno fatto seguito le successive COP, da ultimo la COP 26 di Glasgow dove hanno partecipato 197 Paesi per firmare il “patto per il clima di Glasgow”) dove si stabilisce di dirottare un fiume di denaro per iniziative di finanza per il clima.

Non c’è dubbio che si deve proteggere la salute della Terra dall’azione distruttiva dell’uomo, ma non a scapito delle popolazioni più deboli del pianeta. Negli ultimi 20 anni organismi internazionali, tra cui la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, hanno incoraggiato i Paesi in via di sviluppo a finanziare progetti utilizzando prestiti e obbligazioni bancarie. Ma non può essere l’indebitamento dei paesi più poveri l’unica soluzione percorribile per avviare progetti su adattamento e mitigazione del clima.

Infatti non tutti sanno che molti dei finanziamenti, promessi per la lotta al cambiamento climatico, sono in realtà prestiti che i paesi in via di sviluppo “poveri” dovranno prima o poi restituire!

Il giornale Repubblica denuncia che “I Paesi poveri strozzati dai Grandi, spendono 5 volte di più per il debito che per il clima” molti dei finanziamenti promessi per la lotta al cambiamento climatico sono in realtà prestiti da restituire.

Dal 2016 al 2020 i paesi in via di sviluppo avrebbero dovuto ricevere un valore di 367 miliardi di dollari sottoforma di progetti di sviluppo a emissioni ridotte e resiliente.

L’OCSE ha sottolineato che “la finanza privata è influenzata da molti fattori, inclusa la politica ambientale  e dalle condizioni macroeconomiche generali dei paesi in via di sviluppo, ….è molto difficile e incerto per le singole istituzioni e imprese anticipare e quantificare i finanziamenti privati ​​che si potrebbero mobilitare in futuro per il clima“!

In sintesi difficilmente i privati investiranno in paesi dove non è certa la stabilità politica (vedi ad esempio recentemente cosa è successo nell’Afghanistan) o economica. Ecco che si chiede ai paesi ricchi di intervenire a garanzia ma con denaro pubblico. Eppure a Glasgow si chiede di mobilitare risorse finanziarie private con strumenti innovativi di finanziamento!

COP26 - Invitano le banche di sviluppo multilaterali, e altre istituzioni finanziarie e il settore privato per migliorare la mobilitazione finanziaria al fine di fornire la portata delle risorse necessarie per realizzare i piani climatici, in particolare per l'adattamento, e incoraggia le parti dell'accordo a continuare a esplorare approcci e strumenti innovativi per mobilitare finanziamenti per l'adattamento da fonti private..

Ma sorge spontanea una domanda, a chi compete l’onere di controllare come questo fiume di denaro pubblico a garanzia di privati alimenterà la finanza climatica? Come scongiurare eventuali rischi di gestione criminale di queste ingenti somme di denaro a garanzia che andranno ad alimentare  il debito pubblico italiano?

Purtroppo timidamente soltanto alcuni paesi come Canada, Germania e Svezia hanno chiesto all’OCSE di fornire informazioni specifiche per paese o organizzazione sui finanziamenti attesi per il clima per i paesi in via di sviluppo.

Si sta creando una vera e propria “finanza climatica” sul tema che di certo senza controllo non aiuta molto a proteggere la Terra dai cambiamenti climatici alimentati dall’uomo.

Stiamo parlando di un Fondo globale verde per il clima (Green Climate Fund, GCF), istituito per reagire ai cambiamenti climatici e investire in uno sviluppo a emissioni ridotte e resiliente rispetto ai mutamenti in atto.

Questo fondo impiega parte dei suoi soldi per contribuire a mobilitare i flussi finanziari dal settore privato verso opportunità di investimento convincenti e redditizie per il clima.

Il fondo opera attraverso una rete di oltre 200 enti accreditati e partner quali banche commerciali internazionali e istituzioni finanziarie multilaterali, regionali e nazionali per lo sviluppo e istituzioni di fondi azionari, agenzie delle Nazioni Unite e organizzazioni della società civile che lavorano tutti direttamente con i paesi in via di sviluppo per la progettazione e l’implementazione dei progetti. 

Ma come opera questo fondo? Partiamo con la sede che risulta a Incheon, in Corea del Sud, e tiene particolarmente conto delle esigenze dei Paesi in via di sviluppo, molto vulnerabili di fronte ai cambiamenti del clima.

Il fondo ha il mandato di investire il 50% delle sue risorse per la mitigazione e il 50% per l’adattamento. Almeno la metà delle sue risorse di adattamento deve essere investita nei paesi più vulnerabili al clima.

Il sostegno finanziario dato ai paesi attraverso una combinazione flessibile di sovvenzioni, prestiti agevolati, garanzie o strumenti azionari sono utilizzati per mobilitare finanziamenti misti e investimenti privati “crowd-in” per l’azione per il clima nei paesi in via di sviluppo. Questa flessibilità consente al Fondo di sperimentare nuove strutture finanziarie per sostenere la creazione di mercati verdi.

Dal sito del fondo si legge che incarna una nuova ed equa forma di governance globale per rispondere alla sfida del cambiamento climatico. Al centro del Fondo vi è una struttura di governance equilibrata che garantisce decisioni basate sul consenso tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.

Il Consiglio che gestisce il fondo è incaricato della governance e della supervisione della gestione del Fondo. È stato istituito da 194 governi sovrani (mancherebbero 14 paesi) che fanno parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il Consiglio è indipendente e guidato dalla Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione.

Il consiglio tiene generalmente tre riunioni all’anno e in genere vi sono più di 300 partecipanti, tra cui osservatori della società civile e delle organizzazioni del settore privato, autorità nazionali designate (NDA), che sono i canali nazionali del Fondo, entità accreditate e altri partner che assistono nella fornitura di finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo.

Riguardo la governance è da sottolineare la scadenza al 31 dicembre 2021 del terzo mandato dei membri del Consiglio, il quarto mandato inizierà il 1° gennaio 2022  per partecipare al Consiglio del fondo per il clima[1].  Il processo di selezione si svolge nell’ambito delle circoscrizioni e dei gruppi regionali, i cui presidenti e coordinatori comunicano al segretariato del GCF i nomi dei membri selezionati e dei supplenti del consiglio[2].

Per l’Italia risulta che ha partecipato come Consulente senior per i beni pubblici globali del ministero dell’economia una certa Gisella Berardi divisione relazioni internazionali (assente la foto), dell’unità banche e fondi multilaterali di sviluppo come lo prevede l’art. 4, comma 2, della legge 26 febbraio 1987, n. 49 sulla nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo “…La partecipazione dell’Italia agli organismi finanziari internazionali multilaterali è finalizzata all’attuazione degli impegni assunti nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite in materia di cooperazione allo sviluppo”.

L’Italia finanzia[3] le attività di cooperazione allo sviluppo a titolo gratuito. Il monitoraggio dell’attività spetta al ministero degli affari esteri. Per l’Italia risultano soltanto due documenti per il fondo per il clima: un primo relativo all’anno 2017, per una lite per il tramite del proprio Ministero dell’ambiente, (“Contribuente”), con il fondo Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (“Banca”), in qualità di fiduciario ad interim (“Ti·ustee”) del Fondo fiduciario Green Climate Fund, per la messa a disposizione del Fondo della somma di cinquanta milioni di Euro (EUR 50.000.000 come “Contributo”) sotto forma di Sovvenzione; e un secondo documento che riguarda l’accordo firmato tra l’Italia, il fondo e la Banca Mondiale nel giugno del 2020, per i contributi versati per il primo periodo di ricostituzione del fondo (GCF-1) per un valore di 350 milioni di euro sempre sotto forma di Contributo.

La “nomination letter” dell’autorità nazionale designata per l’Italia non è pubblicata sul sito del fondo rispetto a tutti gli altri paesi (vedi ad esempio quello della nomina nel 2014 del Ministro dell’Araubia Saudita del petrolio e del gas naturale). L’ultima lettera (alla data di questo articolo) pubblicata dal fondo è quella del 19 novembre 2021 in cui è stata designata per il Venezuela il ministro Josuè Lorca. In pratica la maggior parte dei paesi designano il ministro quale autorità nazionale  per il proprio paese. In Italia invece abbiamo un vecchio riferimento ad una consulente del MEF; ai cittadini italiani quindi non è dato sapere chi verrà nominato come autorità nazionale per l’Italia. Di fatto ormai è trascorso molto tempo dal 30 settembre 2021 data in cui è partita la selezione dei nuovi membri esperti nei settori dei cambiamenti climatici e del finanziamento dello sviluppo.

Le riunioni del Consiglio di Amministrazione sono trasmesse in diretta streaming. Sono inoltre disponibili registrazioni video per le recenti riunioni svolte dal Consiglio (il primo video però risale al 2018 ed è solo vocale) .

Il fondo interviene in otto aree obiettivo che coprono sia la mitigazione che l’adattamento e forniscono i punti di riferimento per stakeholder a garantire un approccio strategico nello sviluppo di programmi e progetti, nel rispetto delle esigenze e delle priorità dei singoli paesi:

  • Edifici, città, industrie ed elettrodomestici
  • Ecosistemi e servizi ecosistemici
  • Generazione e accesso all’energia
  • Foreste e uso del suolo
  • Salute, cibo e sicurezza idrica
  • Infrastruttura e ambiente edificato
  • Mezzi di sussistenza di persone e comunità
  • Trasporto

Le aree obiettivo sono importanti per fornire un impatto sostanziale sulla mitigazione e l’adattamento.

L’elenco dei progetti può essere filtrato per adattamento trasversale e mitigazione, per aree obiettivo, per tipo di settore (privato o pubblico), per modalità di accesso nazionale regionale o internazionale e per tipo di paese.

Dalla selezione per data è possibile risalire all’anno di implementazione dei primi progetti avviati nel 2015. La piattaforma informatica, utilizzata per la trasparenza delle informazioni, è molto simile a quella adottata dal Governo Italiano per il PNRR, ma non proprio uguale nei contenuti  (in Italia ad esempio le informazioni sono parziali).

Se filtriamo per anno di progettazione “2015” e iniziamo ad analizzare dal più vecchio ne troviamo 7 progetti:

  1. un primo progetto per costruire la resilienza delle zone umide nella provincia di Datem del Marañón in Perù.
  2. Un progetto di approvvigionamento idrico urbano e gestione delle acque reflue delle Figi;
  3. un progetto per sostenere le comunità vulnerabili alle Maldive per gestire la carenza d’acqua indotta dai cambiamenti climatici;
  4. un Fondo KawiSafi Ventures per la creazione di un nuovo fondo di investimento, KawiSafi, per guidare l’energia solare off-grid in Africa orientale per investire in 10-15 società di energia pulita, inizialmente in Ruanda e Kenya, per fornire tecnologie solari domestiche;
  5. un progetto per l’integrazione delle infrastrutture resilienti ai cambiamenti climatici (CRIM) per fornire rifugio anticiclone e salvaguardare l’accesso critico stradale per proteggere le vite umane in una regione costiera rurale del Bangladesh;
  6. un progetto per aumentare la resilienza degli ecosistemi e delle comunità attraverso il ripristino delle basi produttive delle terre salinizzate in Senegal;
  7. un progetto per aumentare l’uso delle informazioni climatiche modernizzate e dei sistemi di allarme rapido in Malawi.

Se navighiamo per filtro all’interno del sito possiamo trovare ad esempio il progetto finanziato per 50 milioni di dollari per fornire alle comunità rurali in Etiopia l’acqua potabile tutto l’anno e l’irrigazione su piccola scala per affrontare i rischi di siccità e altri impatti climatici per la durata di 5 anni ma che in realtà, come emerge dalla cronologia degli eventi,  è ancora in fase di esecuzione e finirà, se tutto va bene, il 12 febbraio del 2024 (fra 7 anni).

Nel 2016 sono stati autorizzati 25 progetti. Nel 2017 ne sono stati autorizzati soltanto 17 progetti, nel 2018 aumentano a 41 i progetti, nel 2019 ne diventano 31, nel 2020, nell’anno della pandemia, si raggiunge la cifra di 37 progetti e nell’anno in corso (2021) i progetti approvati al momento sono 32, ma manca ancora più di un mese per aggiornare il numero a quello definitivo.

La durata del progetto è di solito stimata sempre in un numero più basso di anni rispetto agli anni effettivi necessari. Ad esempio per il progetto più vecchio iniziato nel lontano 2015 si legge che sarà completato nel 2025. Quindi gli anni da 7 previsti poi ne possono diventare 10.

In pratica dei tanti progetti finanziati fino ad oggi non ne risulta concluso nessuno per poterne valutare il risultato in termini di “accountability”, soprattutto per darne conto alle popolazioni dei paesi ricchi finanziatori di tutti questi miliardi di dollari a favore del clima e a favore dei paesi in via di sviluppo.

Ad ogni riunione di consiglio si approvano progetti, finanziamenti e procedure di esecuzione. Ad esempio, in occasione della trentesima riunione del Consiglio, sono state presentate 13 proposte di finanziamento per un importo da investire di 1.206,6 milioni di dollari, a sostegno di progetti e programmi per un valore totale di 4 miliardi di dollari (ad esempio in Nepal – Impianto di raffreddamento per mitigare le emissioni di gas serra attraverso soluzioni di cottura pulite moderne, efficienti e rispettose del clima; Mongolia – programma di recupero verde etc.).

Per l’Afghanistan ad esempio il progetto da 21 milioni di dollari, sia pubblico che privato, intende avviare lo sviluppo di un settore energetico mini-grid di energia con tre mini-reti solari rinnovabile nelle zone rurali del paese per affrontare le gravi carenze energetiche a causa di un’infrastruttura inadeguata dalla biomassa tradizionale per cucinare e riscaldare, fortemente dipendente dai combustibili diesel e cherosene e da una debole politica normativa del settore energetico. Il progetto mira a incoraggiare l’impegno del settore privato, garantendo al contempo che il futuro sviluppo delle mini-reti incorpori considerazioni sociali e ambientali. Il rischio paese, legato ad una instabilità politica con gruppi organizzati o manipolati dai potenti di turno, è un limite alla realizzazione del progetto che scoraggia investimenti privati impedendone probabilmente l’attuazione.

Ai progetti pubblicati sul sito del “green climate fund” strategici per mitigare e adattare le conseguenze dei cambiamenti climatici risultano coinvolti 77 paesi in Africa, 79 in Asia-Pacifico, 11 in Europa Orientale, 46 in America Latina e Caraibi. L’Africa e l’Asia sono quindi i maggiori beneficiari in termini di numero di progetti.

Ogni paese coinvolto in pratica dovrebbe avere un piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici[4] documento utile per impostare politiche pubbliche in materia di cambiamenti climatici, stante la loro intrinseca complessità. Nei paesi in via di sviluppo questo piano è fondamentale per la predisposizione e pianificazione di progetti strategici alla loro situazione economico ambientale.

In questo senso il Piano costituisce una base comune di dati, informazioni e metodologie di analisi da condividere con tutti i soggetti titolari di competenze nella pianificazione locale e settoriale. La realizzazione di una “piattaforma web” attraverso la quale sarà possibile accedere a tutti i dati georeferenziati, relativi agli scenari ed agli indicatori climatici contenuti nel Piano di adattamento, rappresenterà, in questo senso, uno strumento attraverso cui condividere con tutti gli stakeholder piani, progetti, esperienze e tecnologie, che andranno a completare ed integrare il panorama dei possibili interventi.

L’Unione Europea ha formalmente adottato la Strategia di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, nella quale sono stati definiti principi, linee-guida e obiettivi della politica comunitaria in materia, la quasi totalità dei Paesi membri sta lavorando in linea con le direttive della Strategia europea. “Si prevede che gli impatti dei cambiamenti climatici inaspriranno il divario sociale nell’UE“.

COSTI ECONOMICI

Si stima infatti che il costo minimo del mancato adattamento ai cambiamenti climatici per tutta l’UE parta dai 100 miliardi di euro nel 2020 per raggiungere 250 miliardi di euro nel 2050.

COSTI SOCIALI

Anche il costo sociale dei cambiamenti climatici può essere considerevole in Europa. Se non adotteremo ulteriori misure di adattamento potremmo dover fare i conti con 26.000 decessi all’anno dovuti al caldo intenso entro il decennio 2020-2030 e 89.000 decessi all’anno entro il decennio 2050-2060.

Il 10 giugno 2021 Il Consiglio Europeo ha adottato una nuova strategia per consentire all’UE di diventare, entro il 2050, una società resiliente ai cambiamenti climatici e pienamente adeguata a rispondere ai loro inevitabili impatti.

In Italia invece una versione resa pubblica del piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) risale al 2018[5] e si legge che le 361 azioni di adattamento settoriali identificate dagli esperti, sono uno strumento più operativo diretto a supportare, da un punto di vista conoscitivo, le istituzioni nazionali, regionali e locali nella definizione di propri percorsi settoriali e locali di adattamento anche in relazione alle criticità che le connotano maggiormente. Nelle basi dati utilizzate per il PNACC vi è anche l’indice sulla capacità di adattamento[6] che si basa sulle risorse economiche, infrastrutture, conoscenza e tecnologia, istituzioni.

Inoltre sono state individuate 21 azioni più rilevanti riconducibili alle seguenti 4 tematiche principali:
1. dissesto geologico, idrologico ed idraulico;
2. gestione delle zone costiere;
3. biodiversità;
4. insediamenti urbani. 

Attualmente il ministro Cingolani ha promesso di aumentare la partecipazione finanziaria italiana per la lotta ai cambiamenti climatici da 400 mln a circa 1 miliardo di euro. E infatti nel disegno di legge di bilancio in discussione al Senato con l’art. 154 viene istituito nel previsionale del Ministero della transizione ecologica il “fondo rotativo italiano per il clima“…… “Tra le altre misure sulla spesa in conto capitale rientra l’istituzione di un fondo rotativo destinato al finanziamento di interventi a favore di soggetti privati e pubblici, volti a contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nell’ambito degli accordi internazionali sul clima e tutela ambientale (valore 840 milioni per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026 e di 40 milioni di euro a decorrere dal 2027).

Dai documenti pubblicati dal Senato della Repubblica si legge che il Fondo sarà gestito da Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. sulla base di apposita convenzione da stipulare con il Ministero della transizione ecologica. Nel disegno di legge si nota che si può assumere capitale di rischio mediante fondi di investimento, fondi di fondi o capitale di debito.

Il fondo italiano per il clima è stato definito “fondo rotativo”  ovvero uno strumento finanziario di sostegno alimentato dallo stanziamento di risorse pubbliche e dal rientro delle somme restituite dalle imprese che ne hanno beneficiato.

Nel dossier del Senato si legge che la dotazione del fondo pari a 840 milioni di euro finanzierà interventi, anche a fondo perduto, a favore di soggetti privati (banche e imprese) e pubblici per contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti negli accordi internazionali in materia di clima e tutela ambientale ai quali l’Italia ha aderito.

Gli interventi del Fondo saranno destinati in primis ai Paesi individuati dal Comitato di aiuto allo sviluppo OCSE-DAC, in maniera altresì coerente con la politica estera italiana. All’interno dell’Ocse opera il comitato per l’aiuto allo sviluppo, noto con l’acronimo inglese “Dac” (development assistance committee). Fanno parte di questo comitato 30 membri tra cui l’Italia e l’Unione Europea.

In particolare tra le attività consentite al Fondo (assunzione di capitale di rischio e erogazione di finanziamenti, diretti o indiretti) si rileva l’erogazione di garanzie su finanziamenti concessi da soggetti terzi autorizzati all’esercizio del credito, assistite dalla garanzia dello Stato quale garanzia di ultima istanza che opera in caso di accertata insolvenza del Fondo. La garanzia[7] dovrà essere a prima richiesta, esplicita, irrevocabile e conforme ai requisiti previsti dalla normativa di vigilanza prudenziale (ai fini della migliore mitigazione del rischio). Per le garanzie è stabilito il limite massimo del 50 per cento dell’importo finanziato, per un importo massimo a sua volta non eccedente il 50 per cento delle risorse stanziate a garanzia su finanziamenti concessi da soggetti terzi autorizzati all’esercizio del credito (banche), assistite dalla garanzia dello Stato italiano quale garanzia di ultima istanza che opera in caso di accertata insolvenza del Fondo sul clima.

Il Gestore del Fondo è individuato in Cassa depositi e prestiti S.p.A.; due organi interministeriali (Comitato di indirizzo e Comitato direttivo) ne assicureranno la governance. Dal punto di vista operativo Cassa Depositi e Prestiti è autorizzata ad aprire un apposito conto corrente di tesoreria centrale. È istituito un Comitato di indirizzo, che definisce l’orientamento strategico e le priorità di investimento del Fondo. Ne delibera, su proposta di Cassa depositi e prestiti, il piano di attività, anche mediante la definizione dell’ammontare di risorse destinato alle diverse modalità di intervento.

A copertura delle perdite attese ci sarà Cassa Depositi e Prestiti SpA – ed è incaricata di istituire, con parte delle risorse, un apposito fondo di accantonamento, a cui affluiranno i premi versati al Fondo medesimo a fronte del rilascio delle garanzie. Le obbligazioni assunte dal Fondo sono assistite dalla garanzia dello Stato  italiano quale garanzia di ultima istanza, operante in caso di accertata insolvenza del Fondo in relazione agli impegni assunti. Essa opererà “limitatamente a quanto dovuto dal Fondo, ridotto di eventuali pagamenti già effettuati dallo stesso”; è escluso che possano farvi ricorso diretto i beneficiari degli interventi, quindi i paesi in via di sviluppo non possono beneficiare direttamente di queste risorse.

Scopo della norma italiana è tentare di mobilitare i capitali privati in quei contesti in cui altrimenti il mercato non indirizzerebbe le proprie risorse e incrementando in tal modo le risorse complessivamente destinate al raggiungimento degli obiettivi fissati nell’ambito degli accordi internazionali sul clima.

Ciò include l’apposizione di eventuali limiti per aree geografiche e categorie di paesi e per interventi effettuati a favore di, o aventi come intermediari, soggetti privati, un Comitato direttivo, che delibera in merito ai finanziamenti e alle garanzie concessi a valere sulle risorse del Fondo, su proposta di Cassa Depositi e Prestiti e previo parere del Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo.

Il Comitato è presieduto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale o dal viceministro della cooperazione allo sviluppo, ed è composto dal direttore generale per la cooperazione allo sviluppo e dal direttore dell’AICS.

L’ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito delle audizioni preliminari, all’esame del disegno di legge di bilancio per il 2022 per conto del Presidente, ha sottolineato l’effetto marginale sull’indebitamento netto dovuto alla erogazione di misure a fondo perduto per i 40 milioni di euro nonché agli oneri e alle spese di gestione del fondo ma non sottolinea che poiché le garanzie sono operazioni finanziarie, l’importo grava sul deficit solo per 40 milioni, mentre gli altri 800 milioni di euro previsti fino al 2026 vanno direttamente ad incrementare il debito pubblico italiano (per 3,2 miliardi di euro).

 Conclusioni e questioni aperte:

Se la legge di bilancio viene approvata con l’art. 154 così come è stato scritto avremmo a partire dal 2022 un importo considerevole di soldi pubblici italiani da destinare a garanzia al fondo rotativo per il clima Italia che alimenterà l’ormai elevato debito pubblico.

Invece l’art. 154 della legge di bilancio andrebbe modificato prevedendo:

  1. “in un’ottica di accountability” di riportare in un’apposita relazione al parlamento: i criteri di riparto; le modalità di monitoraggio di selezione e valutazione delle imprese degli interventi progettuali approvati beneficiarie di garanzie con il “fondo rotativo per il clima Italia”; le garanzie attivate per i progetti e i paesi che verranno selezionati e finanziati dall’OCSE-DAC con fondi pubblici degli italiani magari vincolando gli investimenti per progetti ai soli paesi in via di sviluppo che hanno presentato il loro piano di mitigazione e adattamento;
  2. di stabilire preventivamente la tipologia e le caratteristiche dei finanziamenti e le procedure all’accreditamento mediante eventuale registrazione sul portale on-line delle imprese ammesse a garanzia di ultima istanza dello Stato italiano concessi da soggetti terzi autorizzati all’esercizio del credito (banche) per le iniziative di adattamento e contrasto del cambiamento climatico;
  3. l’impegno dell’impresa beneficiaria a mantenere in Italia la parte sostanziale della produzione e attestare sulle finalità (scopo) del finanziamento;
  4. controlli preventivi sull’uso dell’IVTS (Informal Value Transfer System) di trasferimenti economici semplici da uno Stato all’altro o mediante fondi di investimento, fondi di fondi o capitale di debito al fine di evitare che nascondano operazioni illegali come il riciclaggio di denaro.          

 

Note

[1] Nel giugno 2021, il Segretariato del GCF ha trasmesso una lettera ai presidenti e ai coordinatori delle circoscrizioni e dei gruppi regionali, informandoli del processo di selezione per il quarto mandato di appartenenza al Consiglio e invitandoli a notificare al Segretariato del GCF i nomi e i dettagli di contatto dei membri selezionati e dei membri supplenti del Consiglio entro il 30 settembre 2021. Anche i rispettivi presidenti dei gruppi regionali all’interno del quartier generale delle Nazioni Unite sono stati messi in copia nella lettera.

[2] I membri del Consiglio avranno l’esperienza e le competenze necessarie, in particolare nei settori dei cambiamenti climatici e del finanziamento dello sviluppo, tenendo in debita considerazione l’equilibrio di genere.

[3] Gli stanziamenti destinati alla realizzazione di tale attività sono determinati su base triennale con legge finanziaria. Annualmente viene allegata allo stato di previsione della spesa del Ministero degli affari esteri una relazione previsionale e programmatica del Ministro contenente fra l’altro le proposte e le motivazioni per la ripartizione delle risorse finanziarie, la scelta delle priorità delle aree geografiche e dei singoli Paesi, nonché dei diversi settori nel cui ambito dovrà essere attuata la cooperazione allo sviluppo e la indicazione degli strumenti di intervento. Il Parlamento discute la relazione previsionale e programmatica insieme alla relazione consuntiva. Presso il Ministero degli affari esteri è costituito il Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo presieduto dal Ministro o dal Sottosegretario per gli affari esteri ed è composto dai Direttori generali del Ministero degli affari esteri; dal Segretario generale per la programmazione economica del MEF, dal Direttore generale del MEF, dal Direttore generale delle valute del Ministero del commercio estero e quello del Mediocredito centrale. Le delibere del Comitato direzionale sono pubbliche e ne viene data notizia mediante apposito bollettino. Presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo è istituita una banca dati con accesso pubblico (Art. 36 Banca dati informativi) in cui sono inseriti tutti i contratti, le iniziative, i programmi connessi con l’attività di cooperazione e la relativa documentazione.

[4] L’UNEP assiste i paesi di tutto il mondo per predisporre piani nazionali di adattamento (PAN). La letteratura identifica diverse determinanti della capacità di adattamento. Il Quinto Rapporto dell’IPCC individua: il benessere economico, il progresso tecnologico, il possesso di informazioni e competenze, la dotazione infrastrutturale, la qualità delle istituzioni e l’equità (IPCC, 2014). L’Indice di Capacità di Adattamento (ICA) invece si basa sulla metodologia impiegata da ESPON (2013). Questa utilizza cinque determinanti della capacità di adattamento conformi ai sopracitati criteri IPCC – risorse economiche, conoscenza e consapevolezza, infrastrutture, capacità istituzionale e tecnologiavalutate e poi pesate con metodo DELPHI (ESPON, 2013).

[5] In Italia le basi per la definizione di azioni e politiche di adattamento ai cambiamenti climatici sono state poste con la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC, MATTM 2015)1 e i relativi documenti tecnico-scientifici di supporto (Castellari et al. 2014a; Castellari et al. 2014b; Castellari et al. 2014c).

[6] L’Indice sulla Capacità di Adattamento (ICA)  si struttura in questi criteri maggiormente accreditati dalla letteratura: risorse economiche: Reddito pro-capite (PIL, PNL, ecc.), povertà (percentuale della popolazione attualmente in povertà), mancanza di accesso alle risorse finanziarie, livello di vita, crescita della popolazione, diversificazione del reddito, tasso di dipendenza, tasso di disoccupazione e tasso di dipendenza demografica; infrastrutture: trasporti (strade, ferrovie, ecc.), reti informali (famiglie con telefono fisso, mobile o connessione ad internet), condizioni abitative, accesso all’acqua (infrastrutture delle falde acquifere), uso di internet, uso della rete elettrica, distanza dai luoghi di interessi e salute pubblica (letti di ospedali, numero di medici, etc.); conoscenza e tecnologia: livello di scolarizzazione, diplomi universitari, ricerca e sviluppo e brevetti; istituzioni: corruzione, budget municipale, aggiornamenti del piano regolatore, attività comunitarie, coinvolgimento e senso di responsabilità (cooperative sociali e associazioni), efficacia dell’azione di governo (dotazione di servizi socio-economici), qualità della regolazione (apertura economica, impiegati statali, etc.), certezza del diritto (evasione fiscale, economia sommersa, ecc.).

[7] Viene precisato nel dossier che la garanzia deve essere riportata nell’elenco delle garanzie principali e sussidiarie prestate dallo Stato a favore di enti o altri soggetti allegato allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze, come prescritto dall’articolo 31 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (“Legge di contabilità e finanza pubblica). Le modalità di escussione della garanzia saranno stabilite da un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della transizione ecologica e degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Per l’avvio sarà preliminarmente necessario l’accertamento dell’incapienza del Fondo da parte di Cassa depositi e prestiti.



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