Il debito pubblico ereditato e una regola impopolare da rispettare

“L’art. 16 del Fiscal Compact (o Patto intergovernativo di bilancio europeo) stabilisce che entro cinque anni dalla sua entrata in vigore (ovvero entro il 1° gennaio 2018), sulla base di una valutazione della sua attuazione, i 25 Paesi Europei firmatari – tra cui l’Italia – siano tenuti a fare i passi necessari per incorporarne le norme nella cornice giuridica dei Trattati Europei”.

Come superiamo il patto intergovernativo se nessuno parla dei suoi effetti? Se l’Italia, per ridurre il debito pubblico, nella prossima legge di bilancio statale per il triennio 2018-2020 dovesse prevedere una contrazione della spesa pubblica di più di 50 miliardi (quasi il 7% delle uscite) quali effetti sociali potrebbe provocare una tale manovra restrittiva? Ormai l’attenzione della Commissione Europea si è focalizzata sul tema del rispetto della regola del debito, che prevede un graduale e costante avvicinamento verso il livello del 60% del Pil, obiettivo eventualmente da raggiungere secondo la Commissione, insieme a quello del pareggio strutturale di bilancio, anche reintroducendo la tassazione sulla prima casa.

Come è noto la recente riforma costituzionale in Italia ha sancito l’equilibrio del bilancio strutturale e la sostenibilità del debito pubblico, vincolando la politica economica del governo ai patti di stabilità europei. Tra le nuove regole europee [1] è stato introdotto un indicatore più restrittivo per il rapporto debito/PIL; tale indicatore evidenzia la principale criticità dei conti pubblici italiani.

Lufficio italiano di bilancio nel suo recente rapporto ha dichiarato che   “…..il profilo del rapporto debito/PIL, seppure previsto in discesa, non appare sufficiente per assicurare il rispetto della relativa regola numerica entro l’orizzonte di programmazione”. “…un aumento del rischio del debito sovrano potrebbe essere indotto da eventi esterni che portino gli investitori internazionali a privilegiare gli impieghi più sicuri, ma potrebbe anche manifestarsi in modo autonomo rispetto a shock di questo tipo, risentendo di fenomeni specifici di abbassamento di fiducia”. 

La regola del debito impone al paese membro di assicurare la riduzione ad un ritmo adeguato del rapporto debito/PIL verso la soglia del 60 per cento, e che almeno uno dei seguenti criteri venga rispettato:

  • la prospettiva backward-looking: il tasso di riduzione deve essere pari ad 1/20 all’anno nella media dei tre anni precedenti in vista di un rapporto debito/Pil in eccesso rispetto al valore del 60 per cento.

Rispettare oggi tale regola sarebbe, per l’Italia, insostenibile. L’Italia come emerge nella tavola 1 non ha mai rispettato la regola del debito con la prospettiva backward-looking, perché calcolata sostanzialmente su dati di consuntivo.  Se avesse voluto rispettare tale prospettiva, avrebbe dovuto ridurre il debito pubblico di circa 116 miliardi di euro nel 2017 (rapporto debito PIL 131,6% rispetto al 124,8% della prospettiva backward-looking  (con una stima provvisoria del PIL nel 2017 di 1.716 miliardi).

Il Governo nella nota di aggiornamento al DEF dichiara che “Per il 2017 si stima una riduzione rispetto al 2016 e per il 2018 la discesa alla soglia del 130 per cento“. “La politica di bilancio di un paese a elevato debito non può prescindere dalle esigenze di riduzione del disavanzo“……”Un processo di aggiustamento del disavanzo troppo lento si rivelerebbe inefficace ai fini della riduzione del debito, mentre l’adozione di misure di contenimento troppo severe finirebbe per danneggiare significativamente la crescita. In entrambi i casi l’andamento del rapporto debito/PIL risulterebbe inadeguato rispetto alle aspettative degli agenti economici, degli analisti e dei mercati”. “La prosecuzione del percorso di riduzione del disavanzo negli anni successivi punta al conseguimento del sostanziale pareggio di bilancio nel 2020 e all’accelerazione del processo di riduzione del rapporto debito/PIL, che si porterebbe al 123,9 per cento nel 2020”.

  • la prospettiva forward-looking: considera il tasso di riduzione nel periodo di tre anni successivi all’ultimo anno per il quale si hanno dati disponibili. La regola è considerata soddisfatta se la riduzione del differenziale di debito rispetto al 60 per cento si verificherà.

Nella tavola 1 emerge che la prospettiva forward-looking è  rispettata proprio grazie ai dati stimati di previsione. Le previsioni macroeconomiche, in generale, appaiono sempre incerte in quanto dipendono dal grado di affidabilità e indipendenza del set di previsori ai quali si riferiscono. Nel caso dell’Italia l’errore dipende anche dal verificarsi o meno delle variabili esogene contenute nelle stime dello scenario macroeconomico[2] .
Uno Stato membro non sarà soggetto ad una procedura per disavanzo eccessivo nel caso in cui il superamento del benchmark sia dovuto agli effetti del ciclo economico, principio introdotto in Italia all’interno della legge costituzionale n. 1/2012[3]. Per quanto riguarda la regola del debito, la Commissione Europea non attiverà la procedura Edp nel caso in cui il mancato rispetto di tale regola sia imputabile al contributo versato al Feis[4], data la loro natura una tantum.

Nel 2019 il rapporto debito Pil previsto sarà del 127,1% rispetto al 124,3 della prospettiva forward-looking. Se l’Italia intendesse rispettare la prospettiva forward-looking, avrebbe dovuto ridurre il debito pubblico di circa 51 miliardi di euro (con una stima provvisoria del Pil nel 2019 di 1.836,6 miliardi).

Tavola 1 – Aggregati rilevanti utilizzati per la regola del debito, valori in milioni di euro e in percentuale. Anni 2009-2020

Fonte: Istat-MEF, Nota DEF 2017

L’Italia dovrebbe operare un aggiustamento fiscale il cosiddetto Minumum Linear Structural Adjustment – Mlsa per convergere verso il benchmark del debito tenendo conto che:

1) l’aggiustamento strutturale annuo non deve scostarsi di più dello 0,25 per cento del PIL dall’aggiustamento strutturale minimo richiesto;

2) in qualsiasi momento durante il periodo di transizione, il restante aggiustamento strutturale annuo non deve superare lo 0,75 per cento del PIL.

Alla luce di un’accurata analisi, la Commissione europea ha comunque  intenzione di mantenere alta l’attenzione sul debito pubblico dell’Italia, che può rappresentare una minaccia per la stabilità dell’Unione Europea.
Affinché si possa monitorare fedelmente i dati di finanza pubblica, è necessario che le previsioni fornite dal Governo rispecchino il più esattamente possibile la realtà, anche in considerazione di quanto prescritto dalla Commissione Europea in applicazione del trattato Tscg[5].

Spesso, tuttavia, l’accuratezza delle previsioni del Mef può essere negativamente influenzata dalle continue revisioni al rialzo del rapporto debito/Pil, quindi troppo tardi per porvi rimedio.

Una vera riduzione del debito pubblico basata più sui dati di consuntivo può essere sicuramente più credibile anche se impopolare di quella basata sui dati di previsione.

Stranamente da quando è stata introdotta la regola del debito si continua a rispettare la prospettiva forward-looking.

Nel 2017 – fortunatamente – la crescita reale del PIL all’1,5% è stata maggiore di quella prevista nel Def del precedente anno ma ciò è stato legato soprattutto alla componente economica della domanda interna.

Chi governerà l’Italia nel 2018 si troverà ad affrontare quindi gli squilibri relativi al debito pubblico in rapporto al Pil (132%) e alla media triennale del tasso di disoccupazione (12,1%).  Ridurre il debito pubblico di circa 51 miliardi di euro sarà la vera sfida  politica (elettorale) italiana.

 Nonostante i miglioramenti conseguiti e l’esistenza di 2 soli squilibri, l’Italia  è stata rinviata alla in-depth review per stabilire l’esistenza di squilibri macroeconomici più o meno eccessivi insieme ad altri 11 paesi europei.

Note:
[1] Regolamento del Consiglio Europeo n. 1177  dell’8 novembre 2011 che modifica il regolamento n. 1467 del 7 luglio 1997 sulle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi. uno degli elementi che costituiscono il cosiddetto six pack (formato da 5 regolamenti e 1 direttiva).
[2] Le previsioni  macroeconomiche validate dall’UPB, anni  t e t+1 in autunno, anni  t, t+1,…, t+3 in primavera, sono all’interno dell’intervallo di consenso, quindi non si può più dire che siano sistematicamente ottimistiche; un problema invece resta solo per  gli anni t+2, t+3 relative alle previsioni  in autunno, le quali non sono soggette a validazione.
[3] In Italia la legge costituzionale n. 1/2012 ha recepito il Trattato introducendo “l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.
[4] Gli Investimenti Strategici (FEIS), sono da considerarsi una misura una tantum, pertanto, essi non  incidono sul raggiungimento dell’Obiettivo di Medio Periodo (MTO).
[5] Il principio 4 della comunicazione della  commissione sui principi comuni per i meccanismi nazionali di correzione di bilancio, comprende cinque sotto-principi uno dei quali recita: i meccanismi di correzione dovrebbero servire a offrire elementi critici di stabilità nel quadro di bilancio, per impedire che si verifichi la “sindrome dell’obiettivo mobile” tipicamente associata alle risposte date a scostamenti di bilancio.

 

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