Caso Banca d’Italia: è meglio per Letta un uovo una tantum rispetto a una gallina ogni anno?

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La rivalutazione del valore delle quote di Banca d’Italia è una operazione “furba” sostiene Marcello Esposito in “Tutti i rischi dell’operazione Banca d’Italia ma come tutte le italiche “furbizie”, il vantaggio di breve periodo rischia di diventare una perdita nel lungo periodo”. Ma perché il Governo ha optato per questo strumento attraverso un decreto? Beh di certo non per favorire i suoi cittadini, ma “di sicuro per evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca d’Italia” (si veda oltre). La cosiddetta “legge sul risparmio” del 2005 che indica esplicitamente che la Banca d’Italia è un “istituto di diritto pubblico”. Ma per disciplinare le modalità del trasferimento, si sarebbe dovuto varare un regolamento entro il 2008.

“Per la fine del 2008 le disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari imponevano alle banche azioniste di Bankitalia di cedere le proprie partecipazioni, affinché il capitale dell’istituto di vigilanza sulle banche tornasse in mano pubblica, così come previsto dall’articolo 19, comma 10, della legge 262 (Elio Lannutti)”. Ma poi cosa è successo? Nulla.

Lucio Gaetano che, in un suo intervento video, ha chiamato tutta l’operazione la grande “fregatura” espone egregiamente tutta la cronologia degli eventi e sostiene”se i grandi banchieri possono brindare a champagne i cittadini italiani non hanno proprio nulla da festeggiare“!

Se c’è una “azienda” in Italia che deve essere di proprietà pubblica questa è la Banca d’Italia. Non dimentichiamoci che la Banca d’Italia, come qualsiasi altra banca centrale, può effettuare le sue attività solo perché dietro c’è la garanzia dei contribuenti italiani, non certo perché ci sono gli azionisti. Un concetto fondamentale che al Governo Letta sfugge!!!

Accentuando invece con il decreto la natura privata della Banca d’Italia i profitti non verranno redistribuiti al Tesoro ma agli azionisti. Infatti, visto che il primo comma dell’art. 39 dello Statuto della Banca d’Italia stabilisce che “ai partecipanti sono distribuiti dividendi per un importo fino al 6% del capitale“, un conto è calcolare il 6% su 156 mila euro (distribuendo utili alle banche pari a 9.360 euro) e un altro è calcolarlo su 7 miliardi e mezzo di euro (ottenendo, per gli istituti di credito, un dividendo totale di 450 milioni di euro)! Una volta distribuiti utili alle banche, in base alla frase conclusiva del secondo comma dell’art. 39 dello Statuto BI: “La restante somma è devoluta allo Stato.” Nel primo caso nelle casse pubbliche affluiscono cifre ingenti (avanzerebbero tanti soldi dalla differenza “utile distribuibile meno dividenti dati alle banche“, perché verrebbero dedotte cifre minime), nel secondo caso forse non entra nulla. Va detto che purtroppo già ora, con un’interpretazione singolare del secondo comma dell’art. 39 e del terzo comma dell’art. 40, attingendo dalle riserve vengono corrisposti annualmente alle banche “partecipanti” circa 70 milioni di euro, anziché massimo 9.360 euro. Che stranezza vero questa interpretazione!!!

Ma il paradosso è che dopo la legge del 2005 e le disposizioni per la tutela del risparmio del 2008 il capitale della Banca d’Italia appartiene ancora per il 94,3% a banche e assicurazioni private, e solo per il restante 5,67% a soggetti pubblici come Inps e Inail. Per mettere in mano pubblica il capitale della Banca d’Italia, occorre che lo Stato compri le quote dalle banche private.

Il valore del capitale della Banca d’Italia è di difficile stima come mette in evidenza Tito Boeri che ha stimato il suo valore in circa un miliardo di euro, basandosi sia sui valori attribuiti in bilancio da ciascuna banca alle quote di Bankitalia, sia sugli utili distribuiti agli azionisti come percentuale equa di remunerazione del capitale.

Ma cosa succede se aumentiamo il valore delle quote della Banca d’Italia?

Facciamo un esempio concreto per capire meglio. Se ad esempio una banca ha una quota del capitale di Bankitalia che vale 10 e viene rivalutata da una legge diventando oltre 100.000 è pur vero che per lo Stato ci sarà un introito d’imposta pari al 15% sulla plusvalenza (data dall’aumento di valore della quota pari a 99.990 ma che verrà ammortizzata in meno di 5 anni attraverso l’incasso  dei dividendi), ma la banca avrà un guadagno di capitale pari a 84.991,5 (partendo dai 10 iniziali).

Dato che, come dice questa novità legislativa, nessuna banca può detenere più del 5% (nel decreto del governo Letta questo limite viene alzato al 6%) del capitale di Bankitalia, dovrà vendere l’eccedenza di questa quota rispetto a quel limite.
Quindi una parte di questa plusvalenza diventerà magicamente denaro in cassa per la banca! Ma se non fossero date ai banchieri privati queste risorse andrebbero dritte nelle casse dello Stato. Come è stato fino a oggi. Invece….
Se si obietta che c’è la crisi e nessuno si comprerebbe la quota eccedente delle banche l’osservazione non è credibile. Infatti la norma dice che, transitoriamente le quote eccedenti se le ricompra la stessa Banca d’Italia (attingendo ai suoi fondi di riserva) oppure  le quote della Banca di Italia, che dovevano passare allo Stato, potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari ! Se gli acquirenti delle quote da cedere fossero nuovi soci stranieri, allora ci ritroveremmo con una Banca d’Italia non più italiana.

Ma ci possiamo fidare di questa transitorietà? Sinceramente al momento nulla di tutto quello che sta avvenendo sul caso Banca d’Italia fa ben sperare.

Nonostante Tito Boeri sostenga che è lo stesso Statuto di via Nazionale a contemplare che il capitale della banca centrale debba essere di proprietà pubblica, purtroppo  (se analizziamo gli  artt. 1, 3, 4, 49 dello Statuto della Banca d’Italia[1]) questa norma all’interno dello Statuto è introvabile come nello stesso art. 1 del Regolamento Generale della Banca d’Italia. ”La Banca d’Italia nel frattempo ha recentemente pubblicato sul sito del ministero dell’Economia un documento[2] relativo al valore delle quote del capitale, sulla base del quale il documento del Governo delle larghe intese ha varato con un decreto urgente per aumentare il valore delle quote del capitale dell’IstitutoIn quel testo, la Banca d’Italia ha affermato, per iscritto, che “occorre evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca”.
Forse per la prima volta nella sua storia, la Banca d’Italia auspica che una legge dello Stato non venga attuata (“occorre evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge…”), arrivando poi a dettare le linee guida per la riformulazione della normativa in senso opposto alla norma del 2005 sgradita alla stessa Banca d’Italia.
Per permettersi un simile excursus contra legem, la Banca d’Italia si è spinta a reinterpretare, a otto anni di distanza, il testo della Legge sul risparmio del 2005. La Banca scrive nel documento che “la legge sul risparmio contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale”, ma la legge sul risparmio non lasciava alcun margine discrezionale: prescriveva il trasferimento allo Stato delle quote in mano ai privati, senza se e senza ma. Invece….
Contrordine cittadini: le quote se le tengono le banche (col limite del 5% di partecipazione per ciascun azionista) del nuovo capitale sociale di 7,5 miliardi di Euro (calcolate dai  tre “saggi” il rettore della Bocconi Andrea Sironi; Franco Gallo, ex presidente della Corte costituzionale e l’ex vicepresidente della Bce Lucas Papademos), vale a dire ben 450 milioni di utili distribuibili all’anno e in aggiunta gli permettiamo pure di rivalutarle?

In definitiva le banche lucrano sulle plusvalenze, il Governo lucra sulle tasse di quelle plusvalenze per riordinare i suoi conti. Ma ai cittadini che resta di tutta questa manovra? Nulla.
La valutazione astronomica delle quote che la Banca d’Italia ha avallato rappresenta quindi un gran favore che la Banca d’Italia fa, sia al sistema bancario (da cui è dipendente in quanto suo azionista), sia alla politica (da cui si dice di essere indipendente, ma non lo è) che tassando quella maxi-plusvalenza può mettere una toppa agli infiniti buchi di bilancio.”

In sintesi la Banca Centrale Europea fornisce credito illimitato alle banche però alle imprese il credito viene razionato sempre più perché le banche usano le proprie risorse come sappiamo per comprare titoli di stato! E ora si regalano alle banche altri soldi che finiranno … ai loro azionisti! Se questo non è un Governo delle Banche!!!!!
Se, un giorno, si deciderà che il capitale della Banca d’Italia dovrà diventare di proprietà pubblica, lo Stato dopo l’approvazione di questo decreto dovrà pagare 7,5 miliardi di euro il totale delle quote che sino a ieri valevano invece, senza decreto, 156 mila euro!

Ecco perché gli economisti della Voce.info che hanno pubblicato ben tre articoli sono inviperiti e perché uno di loro, Tito Boeri, ha giustamente definito un mese fa questa manovra l’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE!

La soluzione ottimale per i cittadini italiani invece sarebbe stata far prima comprare (con un finanziamento della Cassa Depositi e Prestiti) le quote di Bankitalia da enti pubblici oppure da una fondazione pubblica creata ad hoc, come è in Francia. Poi rivalutare le quote (cosi la plusvalenza sarebbe entrata nel bilancio statale) ed infine vendendo alcune quote e tramutando parte della plusvalenza in moneta contante utile si sarebbero potute destinare ulteriori risorse liquide alla spesa pubblica (ad esempio per finanziare il reddito di cittadinanza ecc.).
Cittadini italiani non resta che rigettare a maggioranza delle forze politiche unite presenti in Parlamento il decreto truffa del governo per gli italiani. Si tratta di una norma contenuta all’interno della finanziaria che dà il via libera alla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia.

Note

[1] Link all’art 27 del D.Lgs 153 del 17.5.1999  (norma citata nell’art. 49 dello Statuto BI che regola le caratteristiche dei ‘partecipanti’ al capitale della Banca d’Italia).
[2] Da notare che questo documento porta in alto a destra la scritta ‘Riservato’ mentre e’ reperibile sul sito esterno pubblico  del Ministero! Utilizzando il motore di ricerca in alto a destra nell’home page del sito del Ministero http://www.mef.gov.it/, e scrivendo “capitale della Banca d’Italia” si ottiene il doc. La pessima leggibilità del documento fa supporre che sia pervenuto con un fax (strada vietata a tutte le amministrazioni pubbliche, Bankitalia esclusa, ma norma largamente disattesa!). Inoltre risulta strano vedere un documento della Banca d’Italia privo di firme e senza indicazione del Servizio scrivente. 

 

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